Fino a qualche anno fa i programmi di scrittura e le esigenze di chi scriveva in digitale erano molto più ridotte, bastava un foglio bianco dove mettere qualche grassetto, italico e poco altro. Tra le applicazioni più diffuse e conosciute c’era Microsoft Word che, appartenendo al costoso pacchetto Office, veniva e spesso e volentieri piratato.
Non solo, pur essendo un programma valido, ha sempre sofferto di una compatibilità verso l’esterno che dava parecchi grattacapi a meno di non utilizzare la stessa versione del programma, senza considerare che spesso era sovradimensionato rispetto al reale utilizzo.
Le esigenze odierne di scrittura sono ben più variegate, c’è chi scrive articoli per riviste/giornali, chi compone libri o impagina testi, chi pubblica sui blog ed utilizza un minimo di codice HTML per presentare al meglio il testo assieme alle immagini.
Io rientro bene o male in queste ultime categorie, e continuo a reputare Office eccessivo per gli scopi di cui sopra: si può essere molto più produttivi con programmi di scrittura minimalista, che pongono l’attenzione sui font e che magari utilizzano servizi di sincronizzazione quali Dropbox, Google Drive oppure iCloud, gestendo formati più compatibili tra diversi sistemi operativi.
Ebbene si, il formato più comune, leggero e intercambiabile rimane ancora oggi il vecchio file di testo .txt, utilizzabile su qualsiasi dispositivo esistente.
Non siamo però negli anni novanta, quando bisognava scrivere a mano tutto il codice HTML oppure era impossibile inserire grassetti o liste senza utilizzare Office e programmi simili.
Il linguaggio Markdown esiste proprio per questo e mediante una semplice sintassi riesce a generare questi tipi di formattazione mediante esportazione in codice HTML, senza utilizzare formati di file complessi o che inseriscono di loro pugno spazi o altre diavolerie simili, le quali rendono tra le altre cose pesante la lettura di chi scrive e deve ricontrollare i testi.
L’idea di base è quella di inserire all’interno del testo dei caratteri non formattati che possono essere tradotti in codice HTML senza “insozzare” il testo e senza conoscere il codice stesso.
Ad esempio il grassetto si ottiene inserendo la frase tra due coppie di asterischi:
**Scemo chi legge**
diventa in HTML:
<strong>Scemo chi legge</strong>
ed infine sul proprio blog, sito o programma che interpreta il Markdown:
Scemo chi legge
Oppure ancora, per inserire un link si mette il testo tra parentesi quadre, e il link stesso tra quelle tonde adiacenti.
[Questo è il mio blog](https://iltanzen.it)
diventa in HTML:
<a href="https://iltanzen.it">Questo è il mio blog</a>
e, pubblicato:
Se si vuole inserire una lista non numerata, è semplice:
- Una cosa da fare
- Un'altra cosa da fare
- Una cosa da non fare
questo è l’HTML generato:
<ul>
<li>Una cosa da fare</li>
<li>Un'altra cosa da fare</li>
<li>Una cosa da non fare </li>
</ul>
ed infine, pubblicato:
- Una cosa da fare
- Un’altra cosa da fare
- Una cosa da non fare
Non è necessaria quindi la conoscenza di HTML o derivati, la sintassi si impara in poco tempo, il testo è più pulito e si può scrivere all’interno di semplici file di testo, senza doversi preoccupare di compatibilità, peso eccessivo degli stessi e formattazione fuori standard.
Ad inizio di questo post ho parlato inoltre di programmi minimalisti di scrittura integrati con i servizi di condivisione, sono i migliori perché permettono meno distrazioni mentre si scrive, offrono una rosa di font eccezionali, gestione delle spaziature e tutta una serie di scorciatoie di tastiera per applicare la sintassi Markdown senza nemmeno scriverla[1].
Non solo, permettono magari di esportare in PDF o direttamente HTML, di pubblicare in automatico il contenuto sul proprio blog o sincronizzare i file in servizi come Dropbox, Google Drive o iCloud.
Pensate ad esempio a scrivere il vostro articolo all’interno di una cartella del proprio computer collegata a Dropbox: il contenuto viene salvato in automatico su questo servizio e quando siete in mobilità con smartphone e tablet troverete gli stessi file pronti per l’uso.
Viceversa, siete in aereo con solo il vostro tablet a disposizione, non appena atterrati e agganciati ad una connessione i file verranno aggiornati per essere consultati o modificati su altri dispositivi.
Per Mac il programma che supporta Markdown e che preferisco come usabilità è iA Writer, per gli smanettoni e programmatori Sublime Text è ancora più avanti e supporta moduli aggiuntivi, Ulysses infine è indicato se si sta scrivendo un libro perché raggruppa tutti i file di uno stesso progetto o directory.
Anche Su iPad iA Writer rimane il mio preferito, ma ci sono anche diverse alternative come Obsidian, Bear e Drafts, tutti compatibili anche per iPhone.
Su Windows c’è un po’ meno diffusione per quanto riguarda questo tipo di scrittura in relazione alla base installata, ma ad ogni modo mi sono trovato molto bene con WriteMonkey, seguito a distanza da MarkdownPad e Texts.
Su Android la situazione è rapida ascesa, ed infatti è finalmente disponibile anche su questa piattaforma iA Writer, seguito da Jotter Pad e Joplin.
Se questo mio post vi ha stuzzicato e voleste approfondire nel dettaglio la scrittura Markdown, rimando al sito di riferimento in lingua inglese di John Gruber, l’inventore di questa fantastica sintassi.
Ovviamente questo post l’ho scritto in Markdown, mediante iA Writer per iPad.
- Ad esempio, su macOS e iPadOS con tastiera, Command + B per il grassetto, Command + I per l’italico e Command + L per i link, dopo aver selezionato il testo interessato. ↩