Proprio oggi Twitter festeggia i 10 anni dal “lancio” del primo Tweet, un’enormità dal punto di vista tecnologico vissuta assieme a tanti cambiamenti avvenuti nel frattempo su questo Social Network.
Personalmente sono otto anni di onorato servizio: durante i primi tempi scrivevo unicamente in inglese, data la scarsa presenza di italiani, e in terza persona, seguendo la tendenza di allora che voleva questo stile di scrittura.
Non solo, raccontavo nei minimi dettagli quello che facevo, fino a realizzare rapidamente che scrivere cose del tipo “si mette il cappotto e va all’aperitivo” erano ridicole sia dal punto di vista estetico che contenutistico.
Con l’arrivo di una manciata di follower italiani grazie al blog e Multiplayer.it ho cominciato a postare principalmente in italiano, ma solo negli ultimi anni il mio utilizzo di Twitter è diventato più intensivo e bene o male nella forma attuale, focalizzato su più argomenti (videogiochi, tecnologia, viaggi, cibo e vino, sport, qualche sortita altrove) e utilizzando tutti gli strumenti disponibili quali like, retweet e liste per seguire alcuni account a mo’ di feed RSS.
Rimane il mio Social network preferito, perché si sposa perfettamente col tempo utile che ho a disposizione e permette poche tipologie di utilizzo in aggiunta a frasi brevi e concise.
Posso decidere facilmente chi leggere o meno, ma non per questo evitare di interagire e rispondere a tutti grazie al semplice sistema di menzioni.
Dato questo per assunto, c’è da dire che in questi otto anni e passa ne ho viste di tutti i colori, con utilizzi del mezzo spesso impropri dominati da una categoria che invece è stata piuttosto costante nel corso del tempo.
Le cosiddette “Twitstar”, persone che hanno riconosciuto in Twitter l’unica possibilità di mettersi in mostra perché altrove non ci sarebbero riuscite nemmeno pagando moneta sonante.
Il menu comprende chi da luogo a monologhi senza rispondere o retwittare nessuno, chi segue migliaia di persone ma ovviamente non le legge perché impossibile – ma almeno gli ricambiano il follow – chi nasconde in maniera goffa le marchette per qualche centinaia di euro, passando ore su questo mezzo allo scopo di fare micro satira.
E ancora, quelli che ti seguono solo se hai x-mila follower, oppure che, una volta che li aggiungi, ti riempiono di spam via messaggio privato invitandoti a seguire anche l’account personale, la pagina di Facebook o il mitico blog dove scrivono cose di interesse pari allo zero.
Passando ad un quadro più generale, ad oggi Twitter sembra fare fatica dal punto di vista del modello di business, incapace di rendere realmente profittevole questa piattaforma per auto sostenersi in maniera adeguata. D’altronde fare pubblicità all’interno di questo Social Network è estremamente sconveniente, in Italia il costo per follower o engagement può tranquillamente superare 1€, laddove su Facebook si riesce a stare senza troppi patemi sotto i 0.10€ o 0.05€; la capacità di filtrare gli utenti (spesso fake, fuori target o inglesi) nonostante il corretto target, inoltre, è davvero limitata, come ho avuto modo di sperimentare per anni sui nostri account aziendali. Ha davvero poco senso investire attualmente, se non cifre spropositate per i clienti più grandi e facoltosi.
Non credo, ad ogni modo, che tutto questo porterà ad una chiusura del servizio oppure ad un suo ridimensionamento: è oramai diventato un Social Network radicato nell’immaginario collettivo, e forse lo strumento più valido per le notizie immediate e di prima mano, senza contare le iniziative collaterali e le potenzialità in termini di marketing. Per me rimane un gioco divertente con qualche spunto “realistico” di utilizzo e produttivo, ma appunto laddove la visione di Facebook, ad esempio, mi appare chiara, il futuro e l’utilizzo di Twitter ad alti livelli rimane ancora parecchio fumoso.
Piccola battuta finale, basata su un post piuttosto vecchio di Umberto Romano che ancora oggi sintetizza la situazione attuale, soprattutto nella seconda parte:
Se i commenti classici non ti piacciono, scrivimi su Twitter: @Tanzen.