La malattia di Diablo III: Reaper of Souls

Pubblicatoil Apr 14, 2014

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I videogiochi possono diventare una droga, così come tutti gli altri mezzi di intrattenimento digitali o meno. Nel primo caso questo appellativo può essere riservato soprattutto ai giochi di ruolo offline ed online, che offrono ore di divertimento praticamente infinite e permettono di interfacciarsi con altre persone reali, interagendo col loro come se fosse un social network a sfondo videoludico.

Non sono un grande giocatore online soprattutto per quanto riguarda i titoli competitivi – mi deprimo troppo facilmente quando i Pelé di turno mi fanno puntualmente il mazzo – ma il mio “curriculum” prevede diversi titoli ai quali ho dedicato più di qualche mese, tra i quali Final Fantasy XI, Guild Wars e World of Warcraft.
Effettivamente è molto facile dedicargli tempo libero, che alla fine può scavallare col quello che tanto libero non è; proprio per questo ci vogliono autocontrollo e consapevolezza di non trascurare altre passioni, soprattutto quando la “scimmia” iniziale investe tutto il tempo a disposizione.

Un episodio emblematico in tal senso c’è stato proprio con Final Fantasy XI; dopo diversi mesi nei quali solevo fare tardi giocando assieme alla mia gilda, mi è capitato di saltare direttamente il dormire e continuare fino alle sette del mattino: alle nove avevo un appuntamento di lavoro piuttosto importante e purtroppo sono stato ben lungi dall’essere concentrato, fino a crollare in un paio di occasioni. Dopo quell’episodio ho deciso che non sarebbe mai più successo un accadimento del genere, e così è stato: non mancano ancora oggi lunghissime sessioni videoludiche, ma sempre sotto controllo e senza perdere di vista il resto.

landaunicorni

Eccomi giunto a Diablo III: Reaper of Souls, da appassionato del genere ho comprato il terzo capitolo originale da subito, ma ci ho giocato giusto una quindicina di ore senza nemmeno finirlo ne approfondire l’online: il gioco era ok ma non mi appassionava ne aveva una grande gestione in termini di crescita del personaggio.
Figurarsi che gli ho preferito Torchlight II, portato a termine con grande gusto, e mi sono buttato su tanti Action Rpg di caratura ben inferiore, almeno sulla carta.

L’espansione e soprattutto la patch 2.0 hanno stravolto tali carte in tavola, Diablo III è finalmente quel gioco che aspettavo e seppur la parte dedicata alla storia sarebbe potuta essere migliore, sono (ri)entrato nel tunnel, ho portato il mio Crociato nuovo di zecca al livello 70 e cominciato i paragon – i livelli di eccellenza – concentrandomi sul gioco online e sulla modalità avventura, aggiunta davvero ben riuscita.
Blizzard ha finalmente bilanciato il gameplay in maniera adeguata e reso divertente la parte di personalizzazione e crescita del proprio personaggio, con la ricerca costante dell’equipaggiamento migliore: il loot degli oggetti, l’accumulo di soldi e la loro spesa rappresentano proprio quella spinta a rigiocare il titolo all’infinito, magari a livelli di difficoltà più alti e sempre in compagnia. Le meccaniche poi non stancano mai e come l’ultimo weekend insegna, è facilissimo giocare ore ed ore consecutive.

Il mio gamertag Battle.Net è Tanzen#2594, il clan invece è MultiplayerIT di recente creazione; se siete senza patria un posticino c’è sempre.

Per riassumere il tutto a chi non ha troppa voglia di leggere, ecco cosa è Diablo III: Reaper of Souls:

Quattro stronzi che giocano assieme per abbattere dei mostri in un mondo virtuale parallelo, chattando tra loro e beandosi per aver ottenuto un pezzo di armatura figo e potente, da equipaggiare allo scopo di trovarne uno ancora più figo.

I commenti classici sono superati, se vuoi continuare la discussione scrivimi su Twitter: @Tanzen.

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